Vai al contenuto

Santa Vittoria: Vita e storia

Secondo quanto viene raccontato nella Passio (V secolo d.C.), le giovani Vittoria e Anatolia rifiutarono le nozze con due patrizi perché consacrate a Dio.

Per questo motivo, entrambe furono mandate in esilio in Sabina, nei possedimenti dei due aspiranti mariti: Vittoria andò a Trebula Mutuesca (oggi Monteleone Sabino) e Anatolia, in compagnia del nobile Audace, andò invece a Thiora (Tora, in provincia di Rieti).

Nel territorio di Trebula c’era un drago che terrorizzava gli abitanti del posto, causando la morte di uomini e animali. Allora Domiziano, signore di Trebula (che probabilmente apparteneva alla stessa gens dell’omonimo imperatore figlio di Vespasiano, anch’egli sabino), si recò nel posto dove era stata esiliata Vittoria e la pregò di salvare la città e scacciare il drago, offrendole vino e pane candido.

La Santa gli disse: “Ringrazio il Signor mio Gesù Cristo che mi nutrisce ogni giorno; ma tu perché vuoi prenderti tanta cura di me?”, e Domiziano rispose: “Sono uscito fuori dalla mia città, rimanendo però nei pressi di essa, in una mia casetta; ma non potrei scampare dall’aria pestifera che fuggivo. Ho detto in cuor mio che se rimarrò fra queste montagne, sarò libero dalle esalazioni velenose del dragone”.
Vittoria allora gli disse: “Se voi, abbandonati gli idoli, adorerete Cristo, vi mostrerò come questo dragone fuggirà da voi e non vi opprimerà più alcuna angustia”. Domiziano rispose: “Nella città di Trebula nessuno è più altolocato e più onorato di me. Dimmi quando scaccerai quel dragone ed io farò diventare cristiani tutti i suoi abitanti”. E Santa Vittoria rispose: “Dopodomani verrò colà al canto del gallo e nel nome di Gesù Cristo lo farò fuggire dal vostro territorio”.

Come promesso, due giorni dopo la Santa arrivò a Trebula per salvare la comunità, a patto che si convertissero tutti al cristianesimo.
Entrata nella spelonca del drago, Santa Vittoria gridò: “Nel nome del Signore Gesù Cristo esci da questo luogo, o pessimo dragone; da’ onore al Dio vivo e vero, va’ là dove non abitano uomini, né animali, né cosa che spetta agli uomini; dove l’agricoltore non ara, né risuona la voce dell’uomo”. Allora il drago fuggì subito via.

A questo punto, Vittoria entrò nella spelonca e, convocando tutto il popolo, disse: “Ascoltatemi: in questo luogo costruitemi un oratorio e datemi come socie le vostre fanciulle vergini”. In poco tempo, oltre 60 ragazze divennero sue discepole; la Santa insegnava loro inni, salmi e cantici.

Sulla famiglia di Santa Vittoria non si hanno notizie molto precise. Sappiamo però che apparteneva a una nobile famiglia, dotata di beni materiali e di religione cristiana; nata nel 230 circa, Vittoria ricevette infatti il sacramento del battesimo. Quando Vittoria fu richiesta sposa dal nobile Eugenio, che voleva entrare in possesso del suo patrimonio, la cugina Anatolia (più grande di qualche anno) la convinse a diventare “Vergine di Cristo”, vendendo gioielli e vesti preziose per donare il ricavato ai poveri e rinunciare al matrimonio.

Qui bisogna fare un breve appunto: al contrario di quanto viene erroneamente riportato altrove, Vittoria e Anatolia non erano sorelle. Quest’ultima, infatti, era figlia unica del console Emiliano. Le due giovani erano quindi probabilmente cugine per parte di madre.

L’esilio, affrontato serenamente dalla Santa durò tre anni e si protrasse fino a tutto il 253. Eugenio temeva di denunciarla come cristiana, perché se faceva questo i beni di Vittoria secondo la legge del tempo venivano confiscati. Eugenio infatti aveva un duplice scopo: sposare la Santa ed entrare in possesso del suo patrimonio.
Trascorsi però tre anni la denunciò al Pontefice del Campidoglio di nome Giuliano, il quale inviò a Trebula un commissario di nome Taliarco. Quest’ultimo andò da Santa Vittoria con una statuetta e la obbligò ad adorare la Dea Diana. Al suo rifiuto la uccise con la spada.
Tutta la cittadinanza fece lutto per 7 giorni; i sacerdoti di Cristo con tutto il popolo la seppellirono ungendola con unguenti e coprendola con teli di lino. La misero dentro un sarcofago e lo deposero nella grotta dove aveva cacciato il dragone. Nel luogo di sepoltura si verificarono molti miracoli.
La Santa fu martirizzata il 18 dicembre del 253 e sepolta il 23 dello stesso mese.

Sul luogo del martirio venne edificato un sacello; una chiesa invece era presente già nel VIII secolo. Ricostruita alla fine del XI secolo e restaurata più volte, oggi il luogo di culto dedicato a Santa Vittoria è una delle chiese romaniche più belle del centro Italia.
All’interno, oltre al sarcofago che fu di Santa Vittoria possiamo ammirare una cisterna, che raccoglie le acque che secondo la tradizione sgorgano al momento del martirio della Santa. Con il pericolo saraceno, il corpo della Santa fu prima portato nell’abbazia di Farfa, poi nelle Marche, a Santa Vittoria in Matenano.

Ed ora facciamo qualche accenno alle immagini della Santa. Vittoria ed Anatolia compaiono effigiate nel mosaico del VI secolo in S. Apollinare Nuovo in Ravenna, in mezzo alle martiri più illustri dell’Occidente. Un’immagine molto antica di Santa Vittoria (affresco) si trova anche all’interno della chiesa omonima a Monteleone Sabino.

Le Sante Vittoria e Anatolia sono citate nel Geronimiano al 10 luglio “VI ID. JUL. SAFINI ANATHOLIAE VICTORIAE”.
Vittoria è citata anche nei martirologi di Beda (che erroneamente pone il martirio della Santa a Roma), di Adone, del diacono Vandelbertus e di Usuardo. Il Martirologio di quest’ultimo ebbe vasta risonanza nel Medioevo. Vittoria è citata anche nel Martirologio Romano.